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Le birre
Il nome scelto ben esemplifica la filosofia di questo micro birrificio di Pederobba, alle pendici del Monte Tomba. A partire dal numero, quel 32 che indica la birra nella classificazione internazionale di Nizza. La via che il birrificio percorre è una strada nuova, fatta di sperimentazione, che conduce a risultati inaspettati in grado di far cambiare la stessa percezione della birra. I birrai che hanno intrapreso questo percorso sono tre giovani: un mastro birraio, un ingegnere e un esperto commerciale, convinti di poter dire qualcosa di nuovo e di importante al mondo della birra. Nel 2006 inizia l’avventura e nel 2010 l’azienda è il primo microbirrificio a ricevere la certificazione ISO 9001:2008. Le materie prime selezionate in Nord Europa, unite alla creatività e alla tradizione italiana, creano un connubio vincente, caratterizzato dalla qualità e dall’ecosostenibilità, di cui le certificazioni Slow Brewing e 100% Made in Italy sono testimonianza. Il risultato è una birra priva di OGM adatta anche al consumo da parte dei vegani. I tre tappi che chiudono ogni bottiglia di birra sono non solo garanzia di integrità del prodotto, ma diventano oggetti da collezione, così come gli imballi riciclabili. Le otto birre prodotte, né filtrate né pastorizzate, raccontano un mondo attento alla comunicazione, all’ambiente e alla ricerca del nuovo.
Un gruppo di amici, una città a disposizione, un prodotto da piazzare: non è la trama di un film criminale, bensì la storia dei fondatori del Piccolo Birrificio Clandestino. Uniti dalla passione per la birra, guidati dall'ex-homebrewer Pierluigi Chiosi, decidono nel 2010 di realizzare un proprio sistema di produzione, il primo nella loro città, Livorno. Una scommessa che in breve tempo li ripaga delle incognite iniziali: il successo è travolgente, grazie all’alta qualità delle etichette che man mano diventano sempre più numerose, per rispondere ai palati più diversi e venire incontro agli accostamenti gastronomici più disparati. Già l’anno successivo, il 2011, vincono infatti il titolo di Birra dell’Anno con l’etichetta Santa Giulia nella categoria delle birre di ispirazione anglo-americana, per poi bissare nel 2012 con la Montinera. Ma le sperimentazioni continuano, e da poco è stata realizzata una versione destinata agli amanti delle mountain bike da competizione: è la Hop Rider, una birra pensata per chi deve sostenere sforzi agonistici prolungati.
Leonardo Di Vincenzo è un ricercatore universitario con il pallino per la birra. Birra del Borgo è stata la sua scommessa, lanciata dopo aver a lungo studiato le scuole birrarie d’Europa e averne carpito segreti e capacità. Così, nel 2005 a Borgorose, prende vita il progetto di un birrificio dove Leonardo comincia a produrre le prime birre artigianali che, due anni più tardi, porta nella capitale; qui con Teo Musso apre l’Open Baladin. Ma l’esperienza di Leonardo non si ferma a Roma: insieme a Teo vola a New York, dove i due collaborano per l’apertura della Birreria presso Eataly. Oggi che il birrificio ha cambiato sede, il vecchio laboratorio è diventata una fucina dove si sperimentano nuove ricette, a volte assolutamente inaspettate. Un luogo dove la creatività del birraio è sempre all’opera per realizzare prodotti nuovi e testarli. Così, accanto alle birre classiche e a quelle stagionali, Birra del Borgo propone le bizzarre, prodotte in edizione limitata, frutto delle sperimentazioni di Leonardo e delle collaborazioni con altri maestri birrai italiani e non. La ricerca di ceppi autoctoni di lieviti e di ingredienti locali rende queste birre inimitabili. Birra del Borgo indica la via italiana della birra, una strada fatta di qualità – all’interno del birrificio si trova infatti un laboratorio di controllo con il compito di analizzare le birre – e di creatività, nel solco delle migliori tradizioni europee ma con una declinazione tutta tricolore.
La fabbrica della Birra Perugia era una delle aziende di birra più antiche d’Italia eppure rischiava di cadere nel dimenticatoio. Ferdinando Sanvico l’aveva fondata nel 1875, quando i frigoriferi erano stanze sotterranee piene di neve e le consegne erano effettuate con un carretto a mano. L’azienda era cresciuta ed era riuscita a far arrivare la sua birra in tutta l’Italia centrale finché, nel 1927, la sua storia si era interrotta. Tutto sarebbe finito così, un glorioso passato da ricordare e tramandare e null’altro, se nei primi anni del Duemila alcuni amici non avessero creduto alla sua rinascita. Far rivivere il passato dandogli una nuova esistenza nel presente e nuovi obiettivi per il futuro: questo l’obiettivo dei sei giovani che si sono messi in gioco nell’impresa. Uno stabilimento degli anni ’70 dove prendono vita birre artigianali, prive di conservanti e rifermentate in bottiglia. Un progetto che non nasce per caso, ma prende le mosse da studi sulle tecniche antiche di lavorazione del luppolo che si lega all’acqua delle sorgenti umbre. Tre linee per raccontare un modo di fare birra: la Classica, per birre da bere tutti i giorni, la Creativa, per birre originali che prevedono l’uso di malti particolari e affinamento in botti di legno, la Territorio, che rispecchia il luogo in cui le birre nascono con materie prime locali. Se la rinascita del birrificio è stata per questi giovani perugini un atto di fede, le loro birre sono i suoi migliori miracoli di gusto.
È il caso dell’ultimo ventennio, una birra capace di coniugare il nettare biondo alla creatività italiana. L’enfant terrible Teo Musso, la mente dietro Baladin, concepisce la birra come un’esperienza totalizzante, a trecentosessanta gradi. Dalla trasformazione in brewpub del suo locale, nel 1996, il percorso di Teo è stato travolgente: prima la Selezione Baladin, società di distribuzione per la vendita in Italia e all’estero delle birre e di altri prodotti; poi Casa Baladin, un “agriturismo birrario”; quindi Open Baladin, Bottega Baladin, Baladin Cafè, il connubio con Eataly, a Roma, e la creazione di Birreria Roma; Bibendum Baladin e Hambo Baladin, un combinato di birreria, hamburgeria e negozio di accessori, dove l’intero locale è in realtà un’esposizione di prodotti da design acquistabili via internet. L’universo della birra non è mai stato così creativo e onnicomprensivo come con Baladin, capace di sdoganare un prodotto considerato meno nobile del vino, trasformandolo in un veicolo di alta qualità. Una scelta eclettica che ne decreta un successo senza precedenti.
A Maracalagonis, nel cagliaritano, c’è un birrificio noto anche all’estero per l’incredibile qualità delle sue birre e per i sapori unici. Nel 2006 due appassionati di birre, Nicola Perra e Isidoro Mascia, uno ingegnere, l’altro commercialista, decidono di mettere a frutto il comune amore per la bevanda e creano il Birrificio Artigianale Barley: ben presto sbarcano negli Stati Uniti, sensibili al made in Italy, poi in Australia e nelle sacre (dal punto di vista brassicolo) terre di Regno Unito e Germania. Un successo incredibile, tanto che alcune delle birre prodotte sono attualmente utilizzate come riferimento nei corsi sommelier AIS e ONAV. Il segreto? Un sapiente mix di tradizione e innovazione, tanto negli ingredienti, quanto nella produzione e conservazione: dalle bucce d’arancia al mosto cotto del Cannonau, da una produzione selezionata a quella altamente esclusiva realizzata una volta l’anno, esattamente come per le vendemmie. Uno sguardo alla tradizione locale, verso il panorama mondiale.
I Rivoluzionari del luppolo: così si definisce la crew dietro questa azienda, il cui nome rimanda nientedimeno che ai Sumeri. Il birrificio nasce nel 2002 a Rodero, in provincia di Como, su iniziativa di Beppe Vento, ex programmatore innamorato del nettare dorato, ma senza alcuna esperienza di produzione. Rilevando una struttura in vendita, Beppe crea con alcuni soci un brewpub: la birra venduta è in gran parte derivante da produzione propria. Il successo di pubblico è tale che nel 2008 Beppe e i suoi soci chiudono il pub per dedicarsi esclusivamente alla produzione nel nuovo stabilimento di Olgiate Comasco, raggiungendo la ragguardevole cifra di trentamila bottiglie annue. Una birra senza conservanti, non pastorizzata né microfiltrata, ad alta bevibilità: il sapore è unico, i fantasiosi nomi delle varie etichette rimandano a questa scelta rivoluzionaria, da assaporare nel nuovo pub pizzeria Le birre di Bi-Du a qualche chilometro di distanza dalla fabbrica.
Nel cuneese, a poca distanza dal confine con la Francia, la birra è fatta da Troll: no, non si tratta di un’antica leggenda o di una fiaba, anche se il luogo incantato sede di questa storia lo lascerebbe credere. Troll è un brewpub incastonato in una valle alpina, dove d’inverno la neve rende tutto ovattato e intimo, e d’estate si riesce a sentire l’odore del non troppo lontano Mar Ligure. In questa cornice idilliaca vedono la luce le birre Troll, ognuna espressione di un carattere particolare di quel territorio. Fondendo la tradizione brassicola di realtà consolidate come Regno Unito e Belgio, l’acqua di montagna, le spezie e soprattutto la passione dei fondatori, il birrificio riesce a infondere alle birre un sapore unico. Delle nove etichette, quattro sono sempre presenti, mentre le altre cinque sono stagionali, prodotte a rotazione durante l’anno, a seconda della disponibilità degli ingredienti. Nota particolare merita la Febbre Alta, che rivisita un’antica ricetta risalente al Seicento: una birra forte, con sedici diversi aromi, dal sapore deciso e che non lascerà indifferenti.
Francesco Mancini e Carlo Franceschini sono due appassionati di birre “bionde”, se le producono in casa, apprezzano le belghe e le inglesi, sperimentano ricette che si avvicinino ai loro gusti. Dal loro incontro nasce un’amicizia e una collaborazione professionale che nel 2010 li vede impegnati nel progetto di un birrificio artigianale in Versilia. Un’azienda che prende il nome da Forte dei Marmi per poi scegliere come logo l’immagine del bagnino forzuto. Dalla birra casalinga all’impianto da 10 ettolitri il passo è enorme: le materie prime creano infatti prodotti sempre diversi tra loro, che è necessario rendere in qualche modo standard per garantire al consumatore di gustare sempre lo stesso prodotto. Allo stesso tempo le analisi sulla birra consentono di mantenere costantemente alta la qualità. Le loro creazioni sono sei birre piacevoli e di facile bevuta che hanno saputo affermarsi a livello nazionale, tanto che, appena sei mesi dopo l’apertura del birrificio, sono arrivati i primi riconoscimenti in molte manifestazioni dedicate alla birra artigianale. Ci sono poi le birre celebrative che il Birrificio produce in occasioni particolari, con una stagionalità ben precisa e con un numero limitato di bottiglie.
Quando la passione per la birra diventa occasione di solidarietà: il microbirrificio artigianale Vecchia Orsa nasce nel 2008 a Crevalcore, nel bolognese, su iniziativa della cooperativa sociale Fattoriabilità. L’obiettivo è favorire l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, attraverso nuovi percorsi di formazione professionale. All’interno della corte “Orsetta Vecchia” è nato così il progetto di un birrificio che ha coinvolto diversi utenti disabili della cooperativa, trasformandoli in birrai provetti. Con il terremoto del 2012, che ha reso i locali inagibili, l’sperimento sembrava concluso, ma grazie al contributo del Comune di San Giovanni In Persicieto, in provincia di Bologna, è stato possibile ricostruire il laboratorio e aprire il punto vendita diretto e la birreria , inaugurati lo scorso giugno. E’ stata avviata la produzione di Cotta Zero, una bionda stile classico, la prima birra a marchio Vecchia Orsa che esce dagli stabilimenti di S. Giovanni.
Nonostante sia stata acquisita dalla Heineken nel lontano 1986, Ichnusa incarna ancora la birra sarda per eccellenza, grazie ai suoi “chent’annos” e oltre di vita. Fu fondata infatti nel 1912 da Amsicora Capra, per poi raggiungere un grandissimo successo nell’immediato secondo dopoguerra, sempre nel segno dell’isola mediterranea. Ichnusa è infatti il nome che gli antichi Greci avevano dato alla Sardegna, e la bandiera con i mori mantiene saldo questo legame anche a livello visivo. Dalle prime produzioni ai 650mila ettolitri annui, per i suoi cent’anni di vita è stata prodotta la Ichnusa Jennas Cruda, birra lager non pastorizzata, dal sapore più intenso di quella classica, con un leggero gusto di luppolo e cereali, e mais tra gli ingredienti. Il punto di forza è però nel legame con il territorio: non solo negli ingredienti – l’acqua utilizzata proviene dalle montagne del parco naturale Gutturu Mannu – ma anche con le diverse iniziative del Mondo Ichnusa, fra cui con un festival musicale, un concorso fotografico sulla Sardegna ed un altro, musicale, per dare spazio alle formazioni sarde emergenti.
Se l’idea del crudo associata alla città di Parma richiama alla mente soltanto il prosciutto, bisogna cambiare e ampliare la prospettiva, perché la cruda a Parma è una birra, quella di Paolo Pezziga. Cruda perché non pastorizzata, come nella migliore tradizione artigianale della birra. Nel 2009 Paolo avvia il birrificio artigianale a Colorno, come suggello alla sua passione per questa bevanda. All’inizio soltanto un centinaio di ettolitri che poi crescono nel tempo. Paolo fa birre per sé - la maggior parte delle quali finisce in fusti, una piccola parte in bottiglia - ma anche per altri birrifici che utilizzano i suoi impianti. Birre, le sue, per il mercato italiano, che nel nome portano impresso il carattere: dalla nerissima “La Tosta”, che sprigiona aromi di caramello, liquirizia, frutta secca e caffè, alla dorata “MagistrAle”, che ricorda il mandarino e il miele d’acacia. Aromi e sentori che soltanto un bravo alchimista è in grado di interpretare.
Fausto Marenco e Massimo Versaci avevano un sogno comune: creare un birrificio artigianale. Così, nel 2008, è nato Maltus Faber, un impianto che ha in sé impressa la storia della birra genovese, giacché sorge nel vecchio stabilimento della birra Cervisia, passato poi a Dreher e infine dismesso da Heineken. Una fabbrica che torna a vivere come laboratorio artigianale, con un impianto semplice e tradizionale. Qui si producono vari tipi di birra, anche stagionali, ma niente spezie o aromi nella preparazione, soltanto malto, luppolo, lievito e acqua per creare birre autentiche e semplicemente naturali. Due sono le barricate, affinate in botti di legno utilizzate precedentemente per l’affinamento di Brunello di Montalcino. Per queste birre nessuna pubblicità istituzionale, soltanto il passaparola di persone che, visitando lo stabilimento, trovano un ambiente familiare dove la birra si può assaggiare e conoscere da vicino. Parola chiave per Fausto e Massimo è sinergia, collaborare con altri birrai è il segreto per migliorarsi e condividere esperienze.
Non è l’epica Route 66 che ha accompagnato i sogni di intere generazioni, ma è comunque una strada a suo modo epica. Non fosse altro perché, percorrendola, è nata l’idea e la produzione di questo birrificio. 77 come la statale della Val di Chienti che fa da sfondo a questa storia, MC come Macerata, ma anche MC come Matteo e Cecilia, i fondatori, che, dopo gli studi universitari a Roma, sono tornati nelle Marche per aprire il loro birrificio artigianale. Un luogo dove poter dare sfogo alla propria creatività e, nel tempo, alla propria bravura. Nascono così birre al miele, contaminate con luppolo americano, incrociate con uva bianca: birre che sono portavoce di sapori tradizionali o inediti. L’ultima creazione si chiama Fleurs Sofronia ed è una birra rosa. A conferirle il caratteristico colore, e anche l’acidità, è la speziatura con coriandolo, buccia d’arancia ma, soprattutto, i fiori di ibisco. Un incrocio originale che le è valso la medaglia d’oro all’ultima edizione della manifestazione Birra dell’anno 2014.
Opperbacco! Questo deve aver esclamato Luigi Recchiuti quando, guardando il Bacco di Caravaggio, lo immaginò con un bicchiere di birra in mano al posto del calice di vino. Da un gioco di parole nasce il suo microbirrificio che da quella esclamazione prende il nome e dall’opera di Caravaggio “rivista e corretta” il logo. Ingredienti base delle sue birre sono l’acqua pura del Gran Sasso, malto di qualità e luppoli selezionati tra i migliori al mondo. Tra le spezie trova posto il miele d’Abruzzo che restituisce nella birra aromi e fragranze dei luoghi in cui viene prodotto. Dal territorio Luigi ha attinto anche per creare legami personali che ripropone nelle sue birre, come nel caso di Tripping Flowers, la birra che prende nome da una rock band abruzzese. Sperimentazioni ardite creano prodotti particolari come 10 e Lode, realizzata a partire da sei tipi di malto d’orzo e affumicata con fumo di sigaro toscano o barricata in tini di vino Moro di Nicodemi. Una creatività sempre all’opera che si nutre di suggestioni e di esperienze, senza dimenticare il territorio in cui opera.