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Il latte e i formaggi
Giorgio Bonati e il figlio Gianluca appartengono a una famiglia che si occupa di allevamento e agricoltura da quattro generazioni. Da 40 anni dirigono l’azienda che alleva cento mucche di razza frisona, nutrite con foraggio di produzione propria, composto da fieno di prato stabile centenario i cui aromi sono rintracciabili nell’analisi sensoriale del formaggio e con miscele di cereali, mais, orzo, soia. Solo dal latte di queste mucche viene prodotto il Parmigiano Reggiano che, grazie al ciclo completo, è caratterizzato dalla garanzia di massima qualità, in quanto tutti i passaggi sono controllati e tracciabili. La lavorazione è artigianale e la stagionatura avviene in un magazzino vicino; dopo due anni il formaggio viene riqualificato da esperti del Consorzio di Tutela. Da qui parte la corsa delle forme, sottoposte a una rigorosa selezione: solo quelle che raggiungono la corretta maturazione ottengono il marchio “Extra” e possono stagionare dai 3 ai 10 anni. Premi e riconoscimenti non si sono fatti attendere: dal Gambero Rosso, che ha assegnato i “Tre spicchi di cacio” e il premio “Fuoriclasse”, all’Accademia.
Pascolare in alta quota richiede impegno e dedizione, si tratta di un'attività che si sarebbe estinta se non fosse per l’ostinazione di alcuni arpian - i pastori degli alpeggi – che continuano a praticarla, permettendoci ancora di gustare sapori che altrimenti sarebbero scomparsi. Uno di loro è Sandro Bonin: 40 anni fa il padre Gildo avviò l'allevamento con i primi bovini, ora lui e il resto della famiglia sono impegnati quotidianamente in questa attività, che nel tempo ha saputo raggiungere livelli qualitativi molto alti. Specializzati nell'allevamento della razza pezzata nera/castana valdostana, Sandro e i suoi si dedicano all'alpeggio di 120 vacche e producono formaggi e derivati di grande qualità. Da giugno a ottobre Sandro sale a 2000 m, qui gli animali si nutrono con le erbe migliori per un latte e una fontina di eccellenza. A meno di 30 anni, Sandro ha scelto di seguire la sua passione di sempre, la montagna e la fontina, facendone il mestiere di una vita, alternando l'alpeggio in estate agli impianti di risalita in inverno e trasformando una tradizione in qualcosa di vivo e vitale.
Dal loden al formaggio, un passaggio che è anche completamento di un'esperienza imprenditoriale e allo stesso tempo un'attività di tutela culturale. È il percorso compiuto da Heiner Oberrauch, un nome che si lega direttamente alla produzione di loden e alla commercializzazione di articoli sportivi. Da tempo progettava la realizzazione, accanto al museo del loden di Vandoies, di un piccolo caseificio per ridare linfa e vita all'allevamento di capre in Alto Adige. Capriz, è il nome scelto per questa piccola azienda dedicata completamente dedicato alla capra e alla produzione del formaggio. La gamma di prodotti è molto ampia. Tra le proposte si trovano sia formaggi di capra che di mucca, con muffa esterna o crosta rossa, mozzarella caprina, una varietà di formaggi freschi e particolari formaggi duri. Inoltre è possibile osservare da vicino la produzione del formaggio per comprendere il lavoro di batteri e culture. Il latte è fornito dalla cooperativa Latte Montagna Alto Adige-Bergmichl Südtirol. L'azienda non è soltanto un caseificio: è un museo, uno shop e un bistrot, ambienti aperti che insieme vogliono comunicare un mondo e un'esperienza, una tradizione che rivive e una capacità artigianale unica.
Nel piccolo comune di Caselle Lurani, nella provincia lodigiana, il Caseificio Carena apre i battenti nel lontano 1924. Angelo, primo titolare dell'azienda, produceva i formaggi tipici della zona: il pannerone, il gorgonzola e il mascarpone; con l'ingresso dei figli Siro e Antonio, i prodotti aumentano e migliora la distribuzione. Oggi è all'opera la terza generazione Carena: i tre figli di Antonio hanno rinnovato gli impianti, rendendoli conformi alle norme europee, e puntato sulla valorizzazione di una specialità, il Pannerone, che nel 2003 è stato riconosciuto presidio Slow Food. È proprio questo formaggio il biglietto da visita dell'azienda: esclusivo della provincia lodigiana, il Pannerone si ottiene con latte vaccino intero e non è sottoposto ad alcun tipo di salatura. Il caseificio Carena è l'unico che ancora lo produce, seguendo l'antica lavorazione manuale e commercializzandolo, per la maggior part,e nel suo spaccio. Altra perla di questa produzione è il Taleggio dop, la cui stagionatura è controllata dal Consorzio di Tutela Taleggio di Treviglio. La qualità di questi formaggi è assicurata a partire dal latte, che proviene dall'azienda De Vizzi di Cascina Pagnara, a pochi chilometri dal caseificio, che garantisce nello stesso tempo una filiera corta e trasparente.
Con cosa riempire la tipica piadina romagnola, se non con un ottimo squacquerone? Meglio se prodotto da Comellini, l’azienda di Castel San Pietro che di questo formaggio ha fatto la sua bandiera. Nel 1969 i fratelli Comellini rilevano il caseificio da un consorzio di agricoltori che qui producevano formaggio grana. Due anni più tardi arriva la svolta, con l’avvio di due nuove produzioni, la Casatella e lo Squacquerone, che contribuiscono notevolmente alla crescita dell’azienda. Dietro il successo c’è un’attenzione particolare alla materia prima, il latte, conferito al caseificio da allevatori della zona, rigorosamente selezionati, alcuni dei quali sono legati al’azienda da quando è nata. Grazie a questo impegno, il caseificio ha ottenuto la denominazione di origine protetta per lo squacquerone, una certificazione che richiede regole ferree sulla provenienza del latte e sull’alimentazione degli animali che lo producono. Il controllo su tutta la filiera garantisce l’assoluta genuinità dei prodotti: mai, nei formaggi Comellini, è stato utilizzato latte proveniente dall’estero. Non sarà un caso se Roberto, oggi l’unico fratello rimasto a gestire l’azienda, è considerato il re dello squacquerone.
È dal 1660 che i Di Nucci - un'antica famiglia di Capracotta, il più alto comune dell'Appennino - producono i formaggi tipici della civiltà della transumanza molisana. A partire dal capostipite Leonardo, dieci generazioni, di padre in figlio, hanno custodito questa tradizione, lavorando con passione e dedizione. A metà del secolo scorso, Antonio Di Nucci e sua moglie hanno spostato l'attività ad Agnone; qui l'ha rilevata il figlio Franco che ha scelto di restare nella sua terra e di continuare il mestiere di famiglia, senza tradire l'artigianalità della produzione, ma strutturando l'azienda in modo moderno. Negli anni Novanta è proprio la storia del caseificio a permettergli di continuare a produrre secondo i metodi tradizionali. Nel momento in cui le regole europee hanno imposto la pastorizzazione del latte per la produzione di formaggi, i documenti conservati nel caseificio hanno consentito di dimostrare la storicità dei metodi adottati, salvando un pezzo importante del nostro artigianato di qualità. Oggi i formaggi Di Nucci, prodotti con il latte di qualità delle zone di Agnone e Capracotta, riforniscono i migliori ristoranti italiani ed europei e anche il Vaticano. A riprova del suo ruolo di custode di una tradizione secolare, nel 2004 il caseificio ha ricevuto il premio nazionale per l'Azienda Longeva e di Successo conferito dall'Unione Nazionale delle Camere di Commercio.
Nel XV secolo era considerato, insieme al Parmigiano, il miglior formaggio d’Italia. Oggi è un prodotto dop, tutelato da un disciplinare di produzione e vanto dell’arte casearia toscana. Si tratta del Pecorino Toscano, in passato chiamato Cacio Marzolino o Marzolino d’Etruria, ricavato dal latte di pecore allevate nella maremma grossetana. Qui, a Manciano, nel 1961 ventuno allevatori si sono uniti in cooperativa per perpetuare la tradizione casearia legata a questo e ad altri formaggi del territorio. Oggi gli oltre trecento soci conferiscono al Caseificio Sociale il loro latte che, accuratamente controllato nel laboratorio analisi, viene trasformato in formaggi straordinari. La qualità si esige da ogni allevatore, a partire dalle singole stalle. Ciascun socio infatti viene remunerato sulla base delle caratteristiche qualitative del latte conferito, in modo da favorire il miglioramento continuo del prodotto. E che si tratti di formaggi di grande qualità lo testimonia la lavorazione artigianale che si affianca alla tecnologia per creare sapori unici, figli del territorio in cui nascono: oltre al Pecorino Toscano dop, la caciotta Maremmina, il Pecorino Nero di Tiburzi, il Pecorino d’una volta Agriqualità - realizzato con latte di pecore allevate con il sistema dell’agricoltura integrata - e molte altre specialità, ognuna delle quali ripropone un aspetto della tradizione gastronomica maremmana.
Il mestiere dell’affinatore ha in sé qualcosa di magico: il suo compito è mantenere in equilibrio tutti i componenti che concorrono a creare un grande formaggio, dalla temperatura all’umidità, dal legno su cui il formaggio riposa alle pietre che formano la cantina di stagionatura. Antonio Carpenedo è uno di questi: un alchimista dei formaggi, un creativo della casearia, che ha reso la tradizione terreno fertile per il suo laboratorio di affinamento, il primo riconosciuto in Italia. Casaro dagli anni ’60, quando acquista un piccolo caseificio a Rovarè di San Biagio e primo a portare fuori dalla provincia trevigiana la Casata Carpenedo, oggi riconosciuta dop, nel 1976 Antonio scopre la sua vera vocazione. Inizia a produrre un formaggio tradizionale, affinato in vino e vinaccia, di cui i contadini del Piave conservavano la lavorazione dalla Prima Guerra mondiale. Il nome che Antonio sceglie per questo formaggio, Ubriaco, è emblematico. A partire da questo prodotto, inizia a sperimentare nuovi abbinamenti; è così che fieno, foglie di noce, spezie, birra e liquori diventano i compagni migliori per l’affinamento dei “Formaggi di Cantina”: Vento d’Estate affinato con fieno di montagna, Blu ’61 con vino Raboso passito e mirtilli rossi, Don Olivo con olio extravergine e pasta di olive, sono soltanto alcune delle straordinarie creazioni di questo artigiano del gusto.
Quando ci si sente legati in modo particolare ad un luogo, è difficile starne lontani a lungo; se il luogo è legato alle proprie radici familiari poi, il richiamo diventa irresistibile. E’ quello che è successo a Pier Andrea e Giorgio Amedeo nei confronti dell’Alta Valle Grana, nel cuneese, quando hanno deciso di tornare alle radici della propria famiglia per realizzare un progetto ambizioso e concreto: restituire valore ad una specialità locale quasi dimenticata nelle sue forme originarie, il Castelmagno, e farlo secondo la tradizione di un tempo. Per questo i fratelli Amedeo hanno acquisito alpeggi dove far pascolare le vacche che producono il latte utilizzato per il formaggio e hanno costruito un centro di stagionatura nella zona più alta di Castelmagno. Qui riposa il prezioso prodotto, arricchendosi di tutti gli aromi di questo territorio. Gli animali, che vivono allo stato brado, si nutrono esclusivamente di graminacee ed erbe foraggere dei prati situati a 1600 metri di altitudine. Nella lavorazione del Castelmagno d’Alpeggio non possono essere aggiunti fermenti lattici e soltanto le forme migliori raggiungono le tavole dei consumatori, pochi intenditori e ristoratori di alto livello in grado di apprezzarne le qualità. Il Castelmagno d’Alpeggio è oggi tutelato dal Presidio Slow Food e costituisce una preziosa eredità consegnataci dal passato che questa azienda fa rivivere e trasmette al futuro.
Difficile essere creativi con un prodotto tradizionale come la mozzarella di bufala. Eppure la Tenuta Vannulo - azienda leggendaria, come l'ha definita il Financial Times – c'è riuscita. Il merito va al titolare Antonio Palmieri: è lui che, nel 1988, ha convertito l'azienda di famiglia in un caseificio, poi ha scelto la sola vendita diretta e, dal 1996, ha sposato la filosofia del biologico. È sempre lui che, prima di tutti, ha puntato sui latticini a chilometro zero: tutta la filiera Vannulo è di produzione interna. Al giorno si producono, artigianalmente, solo 500 kg di mozzarelle che, alle 11 del mattino, sono già finiti. Niente vendite ai ristoranti, niente latte ad altri produttori. Anche le tecniche di allevamento sono tra le più innovative: le bufale sono nutrite solo con foraggio biologico coltivato nell'azienda stessa e curate con rimedi omeopatici, mentre i robot di mungitura permettono all'animale l'autogestione. Docce, spazzole, materassini in gomma garantiscono un ritmo di vita più naturale per le bufale, le cui pelli, al decesso naturale, vengono conciate e trasformate in accessori, creando di fatto un ciclo di produzione chiuso. Ogni giorno è possibile visitare l'azienda, acquistare e assaggiare la mozzarella, ma anche yogurt, budini, gelati e, prossimamente, il cioccolato al latte di bufala. Trenta dipendenti, un fatturato milionario, 15 mila visite guidate all'anno per turisti di tutto il mondo confermano il successo di questo modello imprenditoriale.
Incentrare la propria produzione su odori e suggestioni: Il profumo del latte fresco, l’aroma dell’erba, l’atmosfera calda ed intima delle piccole stalle. La Latteria a San Pietro di Feletto - avviata da nonno Domenico decenni orsono nel paesino di Tarzo - è da circa trenta anni, sotto la guida di Carlo ed Emanuela, impegnata nella produzione di formaggi biologici caprini e bovini. Otto allevatori della valle del Piave forniscono il latte biologico di capra, mentre la Cooperativa Agricola San Michele di Conegliano, che pratica il metodo biodinamico, conferisce il latte vaccino per la realizzazione dei formaggi. Negli ultimi venti anni, Carlo ed Emanuela hanno puntato in particolare sulla valorizzazione del latte di capra, dalle eccezionali qualità organolettiche; l’azienda, pioniera in Italia, è stata tra le prime a riproporre questo antico sapore in tutte le sue sfaccettature. Carlo, creatore instancabile di formaggi, è alla continua ricerca di nuovi sapori e abbinamenti, da realizzare attraverso l’affinamento nel vino o in altri ingredienti. Così sono nati il Castel Formaggio Medievale, il Piccolo Fiore di Bufala e il Capra Ubriaco al Traminer. Sempre alla ricerca della qualità, i Perenzin hanno inaugurato un Cheese Bar – dove degustare i prodotti caseari nel migliore dei modi - e il Ristorante PER, Percorsi Enogastronomici di Ricerca.
Se un prodotto è buono, perché non farne un’eccellenza? Questo devono aver pensato i pastori di Nurri, nel nuorese, quando nel 1962 si sono uniti in cooperativa, con lo scopo di valorizzare prodotti che da sempre facevano nello stesso modo, elevandone la qualità e facendoli conoscere a chi in Sardegna non ci vive. Formaggi tipici della regione, prodotti con il latte di ovini che pascolano nei terreni della Barbagia e sulle colline che si affacciano sul Flumendosa e sul Mulargia. Oggi il caseificio della Cooperativa segue tutte le fasi di produzione: il latte ovino e caprino conferito dai soci viene lavorato per creare formaggi che hanno saputo conquistare anche la clientela internazionale. Con più di ottocento soci, la cooperativa riesce a trasformare 14 milioni di litri di latte ogni anno. Il Pecorino Romano dop è il prodotto di punta del caseificio, che guarda al territorio anche dal punto di vista della tutela ambientale; un impianto fotovoltaico installato nel 2013 consente infatti di coprire per il 90% le necessità energetiche dell’azienda.