Quando chi assiste ha bisogno a sua volta di supporto 1

Quando chi assiste ha bisogno a sua volta di supporto

Prendersi cura di una persona fragile, di un genitore anziano, di un coniuge malato o di un familiare non più autosufficiente è un gesto che nasce da un profondo senso di responsabilità e affetto; ma è anche un compito che, col tempo, può diventare fisicamente faticoso, emotivamente impegnativo e mentalmente stancante.

Chi si occupa ogni giorno del benessere altrui spesso mette da parte se stesso: rinuncia a momenti di riposo, sacrifica relazioni, rallenta la propria carriera, trascurando i segnali di stress, ansia o esaurimento che inevitabilmente emergono.

È in questi momenti che diventa fondamentale riconoscere un limite e cercare un aiuto concreto, e tra le possibilità che offrono sollievo a chi si sente sopraffatto, vi sono i servizi locali di assistenza anziani a Venezia e in molte altre città d’Italia.

Il carico invisibile dell’assistenza quotidiana

A differenza di un lavoro con orari definiti o mansioni prestabilite, assistere un familiare comporta una disponibilità continua, un’attenzione costante, una presenza che si estende anche nei momenti di stanchezza, nelle notti senza sonno, nei weekend che non sono più di riposo. Per di più non è solo una questione di presenza pratica: bisogna gestire medicine, accompagnamenti, visite mediche, pasti, oltre che accogliere fragilità emotive, crisi di memoria, paure, solitudine.

Questo tipo di carico mentale e relazionale non è sempre visibile agli occhi esterni; spesso chi assiste lo fa in silenzio, senza parlarne, senza lamentarsi, fino a che il corpo o la mente iniziano a cedere. Si comincia con piccoli segnali, come stanchezza cronica, irritabilità, difficoltà a concentrarsi, sensazione di isolamento, e poi, se ignorati, questi segnali diventano più pesanti: ansia, disturbi del sonno, senso di colpa per il non riuscire a “fare tutto” fino alla perdita di motivazione.

Il paradosso del caregiver: aiutare senza essere aiutati

Molte persone che si trovano a ricoprire il ruolo di caregiver – termine che indica chi assiste, in modo continuativo e non professionale, una persona in difficoltà – vivono un paradosso profondo: sono considerate “forti”, capaci, instancabili, ma raramente ricevono un sostegno attivo.

Questo succede per una sorta di invisibilità culturale: si dà per scontato che il prendersi cura sia un compito naturale, familiare, privato, quando in realtà, si tratta di un vero e proprio impegno a tempo pieno, che merita riconoscimento, rispetto e soprattutto momenti di pausa.

Essere un caregiver non deve significare sacrificare tutto il resto della propria vita: per questo è necessario che anche chi assiste abbia spazi propri, tempo per sé, momenti di decompressione. Avere la possibilità di delegare le cure per alcune ore, sapere che la persona assistita è in mani sicure, poter rifiatare senza sensi di colpa: sono elementi essenziali per preservare l’equilibrio mentale ed emotivo.

Riconoscere il bisogno di supporto: un atto di consapevolezza

Ammettere di aver bisogno di aiuto non è un fallimento, ma un segno di maturità; chi si prende cura degli altri ha il diritto di non farlo da solo, di affidarsi a figure esterne, così come di ricevere sostegno psicologico, organizzativo e umano. Spesso basta poco: un aiuto settimanale, un supporto domiciliare temporaneo, una figura professionale che affianchi in momenti critici.

La società sta lentamente imparando a riconoscere il valore dei caregiver familiari, ma è ancora fondamentale che ognuno – nel proprio piccolo – inizi a prendersi cura di sé, a pianificare momenti di pausa, a cercare risorse disponibili sul territorio, a condividere il proprio vissuto con chi può ascoltare e capire. Ci sono reti locali, gruppi di ascolto, professionisti dedicati che possono diventare un punto di appoggio prezioso.

Il benessere di chi assiste riflette sulla persona assistita

Quando chi si prende cura sta meglio, tutto intorno funziona meglio: la persona assistita percepisce più serenità, la comunicazione è più fluida, i momenti condivisi sono più leggeri. La stanchezza emotiva è contagiosa quanto l’energia positiva, e per questo è fondamentale ricaricarsi, prendersi cura di sé, rientrare nel ruolo con nuova lucidità.

Il benessere non è un lusso, ma una condizione necessaria per continuare ad aiutare senza esaurirsi, ed è importante ricordarlo ogni giorno, anche nei momenti più difficili. Trovare uno spazio per sé, anche piccolo, anche temporaneo, è una scelta di rispetto verso se stessi e verso chi si ama.

Aiutare sì, ma senza dimenticare se stessi

Vivere il ruolo di caregiver non significa annullarsi, ma accompagnare, sostenere, offrire presenza e amore in una misura sostenibile per tutti, senza cadere nell’esaurimento o nel sacrificio estremo. Chi assiste ha bisogno di essere visto, ascoltato, supportato, e solo riconoscendo questo bisogno si può garantire un’assistenza davvero efficace, umana e durevole.

Nel contesto urbano e sociale di oggi, e in particolare in città complesse come Venezia, avere accesso a servizi competenti e affidabili fa la differenza: ogni gesto che alleggerisce, ogni figura professionale che affianca, ogni supporto che solleva diventa parte di un percorso di cura che riguarda entrambi – chi ha bisogno, e chi lo aiuta ogni giorno con dedizione.