Cosa vuole dire l’espressione “Finire a Tarallucci e Vino” 1

Cosa vuole dire l’espressione “Finire a Tarallucci e Vino”

L’espressione “  finisce a tarallucci e vino “ oggi la si ritrova non solo nei piccoli borghi delle campagne meridionali dove è nata ma la puoi leggere sui giornali, la puoi ascoltare in Tv , la senti pronunciare dal popolano e dal ricco signore o dall’intellettuale.  E’ una sorta di rivincita delle campagne, luoghi in cui questa espressione è nata, sulle città dove poi si è diffusa. Ma cosa significa l’espressione ‘finere a tarallucci e vino’? Con essa si vuol dire che è tornato il sereno dopo una litigata tra amici o parenti e che si può finalmente fare festa. Anche con cose semplici, appunto un buon bicchiere di vino e i tarallucci.

I tarallucci e il vino erano al centro delle feste contadine quando ad esempio si festeggiava cantando e ballando sull’aia  per la fine del ciclo di lavorazione, per l’abbondanza del raccolto o per le ricorrenze religiose e non.

Questo modo di dire è nato quindi nelle campagne, nei luoghi di produzione del vino e del grano. Le case di  campagna come quelle del Sannio dove si produce vino e grano fin dai tempi degli antichi romani, sono anche luoghi di autoproduzione di quello speciale e semplice impasto di farina di grano tenero, olio di oliva e spezie nostrane come il seme di finocchio selvatico che è il tarallo nelle sue varie forme.

Oggi il tarallo per le sue caratteristiche è presente in quasi tutti i momenti della giornata delle persone. E’ un pane croccante, condito, con una lunga conservabilità grazie al suo metodo di produzione. Il tarallo viene prima bollito in acqua per qualche minuto e poi cotto al forno. Perciò è chiamato anche biscotto in quanto cotto due volte. Il tarallo ha un uso vario durante la giornata. Lo si può consumare al mattino con il caffelatte o l’orzo, a pranzo con una bella porzione di yogurt, con il the nel pomeriggio, con lo spritz all’ora dell’ aperitivo.

I taralli del Sannio

Nel Sannio la produzione dei taralli, in particolare quelli ad intreccio, è molto diffusa tanto che a suo tempo la Camera di Commercio di Benevento propose e fece inserire questa specialità nell’elenco delle produzioni tradizionali campane istituito ai sensi del DM 350 del 1999. I Taralli di San Lorenzello non usano aggiungere il vino negli ingredienti dell’impasto, come avviene in altre parti del meridione. La fragranza del prodotto non deriva dalla funzione lievitante dell’alcool ma dal metodo di lavorazione lento. Il lievito madre che viene usato nell’impasto fa il resto. Il tarallo che comunque si presenta compatto viene mangiato sorseggiando il vino o anche inzuppato nel vino. Una delizia. C’è anche chi al vino preferisce l’acqua solfurea delle Terme di Telese.

Il borgo di San Lorenzello

San Lorenzello, piccolo borgo racchiuso tra il Monterbano, parte terminale del gruppo del Matese , e il torrente Titerno, nell’alta valle telesina, è uno dei principali centri di produzione di taralli intrecciati del Sannio. A San Lorenzello fu concepita, nella prima metà degli anni 80, la prima macchina per la produzione delle treccine realizzata poi da un artigiano romagnolo.  Fino ad allora il lavoro, anche delle aziende artgiane , era tutto manuale. Come avviene ancora oggi in molte famiglie del luogo che almeno una volta al mese impastano e cuociono tarallucci. Oggi sono numerose le piccole aziende artigianali, come ad esempio l’azienda Biscotti Ricciardi che della produzione di “treccine” e altri prodotti da forno ne hanno fatto attività di impresa, una  scelta di vita .