South Working: come il Covid sta cambiando l'Italia

South Working: come il Covid sta cambiando l’Italia

Il South Working è una delle eredità che l’emergenza Covid 19 sta lasciando al nostro Paese. Si tratta della tendenza di tanti lavoratori e studenti del Sud che decidono di restare a vivere nella propria terra lavorando o studiando in imprese e aziende del Nord Italia: questo è reso possibile dall’utilizzo delle nuove tecnologie che consentono, attraverso un pc e una rete web, di poter operare da qualsiasi angolo del mondo. Ma quali conseguenze comporterà il South Working per l’economia nazionale e come cambierà il panorama urbano cittadino? Ecco qualche spunto interessante di riflessione.

 

South Working: cos’è

A coniare il termine South Working è stata Elena Militello, una giovane dottoranda palermitana dell’Università di Lussemburgo che, a causa dell’emergenza Covid, ha deciso di rientrare nella sua città di origine per trascorrere qui la quarantena, pur continuando a lavorare ai progetti sui quali era impegnata prima del lockdown.

Da questa situazione pratica creatasi nell’emergenza, è nata l’idea vincente: perché non è possibile vivere al Sud (o in qualsiasi altra parte del mondo si preferisca, anche in un’area rurale o in una zona marittima tipicamente vacanziera) continuando a lavorare per le grandi aziende del Nord ma da remoto, grazie alle modalità di lavoro agile? Da questo semplice concetto è nato il progetto omonimo che la Militello ha presentato all’associazione Global Shapers Palermo Hub che riunisce aziende e associazioni di settore e che si prefigge di far diventare proprio la città di Palermo, seconda in Italia per rete cablata, un grande laboratorio virtuale di questa nuova tendenza.

L’input per un progetto del genere, ovviamente, non poteva che venire dall’emergenza Covid: durante il lockdown per la pandemia, l’adozione dello smart working, ossia il lavoro da casa, è stata una delle soluzioni necessarie da adottare per consentire alle aziende di continuare a restare aperte e offrire servizi (e in molti casi anche prodotti). In alcuni grandi centri del Nord, però, una fetta importante della popolazione produttiva è rappresentata da meridionali che sono stati costretti a trasferirsi lontano da casa per poter avere maggiori opportunità professionali.

Proprio questo target, in particolar modo composto da impiegati, ha preferito trascorrere la quarantena nelle città di origine, svuotando a poco a poco grandi centri urbani come Milano. Tutto questo è stato reso possibile dall’utilizzo delle nuove tecnologie e dalla norma che ha trasformato in realtà lo smart working, due elementi che si sono tradotti nella possibilità di lavorare da qualunque posto, semplicemente con un pc e una connessione web. Quello che caratterizza il fenomeno del South Working, però, è il fatto che la tendenza non ha accennato a diminuirsi neanche con l’inizio della fase 3: quando il lockdown è terminato e tutti hanno avuto la possibilità di tornare in ufficio, i lavoratori hanno iniziato ad apprezzare la possibilità di poter conciliare meglio vita personale e lavorativa grazie allo smart working e a ricreare quel legame con le città di origine che si era spezzato con il trasferimento in altra sede per motivi di lavoro. Anche le aziende più illuminate, però, iniziano ad apprezzare questa possibilità, rendendosi conto che l’adozione del lavoro agile comporta un grande risparmio economico per l’impresa.

 

South Working: un nuova Italia?

Il fenomeno del South Working è destinato a ridisegnare la carta geografica dell’Italia, almeno dal punto di vista della distribuzione della popolazione. Per troppo tempo, infatti, il nostro Paese è stato interessato da un fenomeno migratorio che ha visto i cervelli illuminati del Sud, cresciutisi e formatisi al meridione, lasciare la propria terra di origine per trasferirsi al Nord in cerca di opportunità lavorative e contribuire a rendere ricche e prosperose le aziende con sede a Milano, Torino e Bologna, solo per citarne alcune.

Grazie, invece, al fenomeno del South Working potrebbe a breve essere possibile un processo contrario: attraverso lo smart working i migliori talenti del Nord, o anche le eccellenze del Sud costrette a spostarsi al settentrione per poter lavorare, avrebbero l’opportunità di rientrare nelle terre di origine per vivere a stretto contatto con i propri legami familiari e culturali. Tanti i vantaggi di questa scelta. Innanzitutto l’aspetto economico poiché chi decide di trasferirsi nelle città del Sud o nei piccoli centri rurali e marittimi potrebbe contare su uno stipendio “a misura di Nord” da spendere in zone dove il costo della vita è decisamente più basso.

C’è poi un discorso di work life balance per cui la qualità della vita dei dipendenti potrebbe notevolmente migliorare lontana dai centri cittadini, da sempre interessati ad un problema di traffico e di sovraffollamento. Ma ci sono anche degli aspetti sociali che non devono assolutamente essere trascurati: grazie al South Working, infatti, potrebbero riprendere vita tutti quei piccoli centri rurali, montani e marittimi che nel corso dei decenni sono stati abbandonati a causa del progressivo spopolamento verso le città d’affari in cerca di opportunità lavorative. Sono tanti, infatti, quelli che sognano di poter vivere nella località di mare nella quale di solito trascorrono le vacanze e dove magari posseggono anche una piccola casetta di proprietà, risparmiando così anche su costi di affitto eccessivamente alti. Tutto questo oggi è reso possibile dallo smart working che, secondo gli esperti, si appresta a diventare una realtà nel mondo del lavoro odierno.

smart working e nomadi digitali

 

South Working: cosa succede nelle città metropolitane

Se il fenomeno del South Working dovesse effettivamente prendere piede in via definitiva, si potrebbe assistere anche ad una nuova dimensione urbana, diversa da quella che fino ad ora rappresenta la realtà di milioni di cittadini. Prendiamo come esempio la città di Milano che ha approssimativamente circa 1,5 milioni di abitanti. Il numero di persone che quotidianamente frequenta il capoluogo lombardo nonché centro nevralgico di affari di tutta l’Italia è pari al doppio: tre milioni di persone che quotidianamente si muovono in città ogni giorno per motivi di lavoro e di conseguenza consumano in pausa pranzo, vanno al bar, acquistano i biglietti della metro e più in generale mandano avanti l’economia di Milano.

Secondo un recente studio condotto da Il Sole 24 Ore, negli ultimi 20 anni la metropoli ha guadagnato circa 100mila nuovi residenti per motivi professionali, senza contare tutti quelli che di fatto vivono e lavorano a Milano ma hanno ancora anagraficamente la residenza nella città di nascita. Secondo il centro studi di Epam-Confcommercio, durante il lockdown, il fatturato delle attività della città più legate al mondo del lavoro, come appunto bar e locali per il pranzo, hanno subito un calo di fatturato pari al 75% dell’anno precedente e la tendenza non accenna certo a diminuire visto che, anche con la fine della quarantena, sono in tanti quelli che hanno deciso di restare a vivere al Sud, causando importanti livelli di mancato introito alle attività commerciali del Nord.

C’è anche, però, un rovescio della medaglia, sicuramente molto positivo: meno persone a Milano, così come in tutti i grandi centri urbani del Nord Italia, si traducono in meno traffico, meno smog, maggiore efficienza dei servizi pubblici e dei trasporti, in generale una migliore qualità della vita. Come fare, allora, per riuscire a conciliare queste due tendenze? È necessaria sicuramente una fase di grande progettualità per ripensare interamente l’organizzazione delle città settentrionali, reinventando alcuni settori di attività e diversificando la propria offerta.

 

Evoluzione del nomadismo digitale?

Per un certo verso il South Working è l’evoluzione in salsa meridionale di un altro fenomeno che esiste da tempo e che negli ultimi anni sta diventando sempre più preponderante. Si tratta del nomadismo digitale, una tendenza che riguarda soprattutto i giovani e che ha visto, nel corso degli ultimi decenni, sempre più persone dedicarsi alla propria passione per i viaggi, senza però rinunciare al proprio lavoro in quanto hanno potuto sfruttare i vantaggi dello smart working e continuare le proprie collaborazioni semplicemente grazie ad un pc e ad una connessione web. Il nomadismo digitale, però, ha delle connotazioni leggermente diversi che lo rendono alla fine un fenomeno sicuramente simile al South Working ma per certi versi anche molto differente. Innanzitutto va detto che una delle caratteristiche dei nomadi digitali è quella di non avere contratti fissi: nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di persone che hanno soprattutto attività di collaborazioni o di consulenza, soprattutto nel settore del web.

Il South Working, invece, è un fenomeno alimentato da tutti quei lavoratori a tempo indeterminato che, forti del loro contratto, riescono a negoziare con la propria azienda la possibilità di poter vivere altrove e lavorare in remoto.

Alla base del South Working c’è non solo una grande fiducia fra lavoratore e datore di lavoro ma anche tutta la strumentazione necessaria e le infrastrutture tecnologiche che consentono questo tipo di approccio. Un lavoratore che aderisce al South Working solitamente lo fa per tornare a vivere nella località di origine o comunque sceglie una meta definitiva che diventerà la sua nuova residenza nonché la sede del suo lavoro, che si svolgerà prevalentemente online per l’azienda datrice di lavoro che è la medesima di prima. Il nomade digitale, invece, è una persona che si sposta in continuazione e che non vuole stabilire la sua nuova residenza in un posto unico ma preferisce cambiare costantemente alla ricerca di un posto nuovo da visitare ma anche esperienze diverse da fare prima di fermarsi, ma probabilmente solo dopo molti anni.

Il nomade digitale è sostanzialmente un viaggiatore, allergico ai legami e per questo motivo poco incline anche a legarsi ad una sola azienda. Non a caso, infatti, i nomadi digitali hanno scelto come campo preferenziale di collaborazione quello del web che per antonomasia concede molte possibilità di avere più progetti insieme.

Tuttavia, però, ci sono alcuni tratti in comune che in un certo senso possono avvicinare queste due realtà: sia i lavoratori che aderiscono al South Working che i nomadi digitali, infatti, hanno l’opportunità di lavorare in un luogo fisicamente lontano rispetto a quello nel quale hanno scelto di vivere e per farlo devono poter contare su infrastrutture adeguate e su una buona connessione dati così da collegarsi in remoto ai sistemi aziendali, soprattutto nel caso del South Working.

 

Dall’estero le prime iniziative di cooptazione

L’estero è sicuramente molto all’avanguardia per quanto riguarda le iniziative simil “South Working” ed è un metro di paragone che può essere preso come esempio per poter progettare il sistema italiano di South Working.

Come la Dott.ssa Militello ha tenuto a precisare, infatti, il concetto di Sud non è legato solo alla situazione italiana ma è molto generico in quanto si è sempre a Sud di qualcun altro: proprio per questo motivo le esperienze vissute in altri contesti possono essere una preziosa fonte di arricchimento dalla quale prendere spunto per trovare la propria soluzione al problema.

Fra i Paesi che maggiormente possono vantare competenze in tal senso ci sono sicuramente l’Estonia e le Barbados che hanno varato rispettivamente due progetti, cioè Digital Nomad Visa e Barbados Welcome Stamp proprio rivolti al concetto di South Working. In particolare il progetto estone nasce dalla necessità di attirare talenti ed eccellenze sul proprio suolo e soprattutto capitali esteri per rimettere in sesto l’economia nazionale.

Da questa necessità nasce l’idea di creare un Paese a misura di nomade digitale, con il miglioramento delle infrastrutture, la nascita di spazi di coworking anche pubblici a prezzi molto competitivi, la necessità di alloggi e residenze costruiti secondo le regole dell’edilizia green a impatto zero ma anche la creazione di una rete di cablaggio di ottimo livello e molte altre agevolazioni, anche fiscali, per le aziende della new economy che decideranno intraprendere il proprio percorso professionale in questa nazione. I risultati non hanno tardato ad arrivare visto che sono sempre più numerosi i giovani di ogni nazione, accomunati da una mente brillante e grandi competenze informazioni e imprenditoriali, che hanno deciso di usufruire di questa opportunità anche allettati da un costo della vita molto basso e, di contro, una qualità della vita altissima.

Gli esperti scommettono sul fatto che, complice l’emergenza Coronavirus che ancora impazza nei nostri territori, ci saranno molti altri Pesi europei e non solo che sfrutteranno la circostanza di essere Covid free per poter attrarre giovani talenti e nuovi capitali dall’estero. In questo modo, infatti, non solo è possibile riuscire a garantirsi un ripopolamento di alcune città che poco a poco avevano perso i propri abitanti, magari proprio a causa del trasferimento in altre nazioni europee più ricche e con maggiori opportunità professionali, ma anche di avere un conseguente aumento di liquidità e capitali da poter investire in modo oculato nel miglioramento delle infrastrutture e in generale dell’economia.

L’Italia non può restare indietro in questa corsa perché ha tutte le caratteristiche non solo per contribuire a distribuire in modo più equo ed oculato la ricchezza sul suolo nazionale ma anche per diventare a sua volta un polo di attrazione mondiale per tutti i nomadi digitali e per coloro che si prefiggono di sfruttare la possibilità del South Working.

In un certo senso, inoltre, questa è la strada intrapresa anche da Paesi come il Portogallo oppure la regione spagnola delle Canarie che, da qualche anno, hanno intrapreso una politica di ripopolamento dei propri territori attraendo, però, soprattutto pensionati in cerca di località dal clima mite e dal costo della vita ragionevole per poter vivere al meglio gli anni della pensione: proprio a tutti questi soggetti, provenienti in particolar modo da Germania, Italia e Francia, i governi locali hanno dedicato misure fiscali molto vantaggiose volte a rendere ancora più appetibile il trasferimento sul loro territorio. La guerra, quindi, ad accaparrarsi una migrazione di lavoratori digitali con un’alta possibilità di spesa, è appena iniziata e l’Italia non può certo restare a guardare se non vuole essere nuovamente la Cenerentola d’Europa.

portogallo

 

South Working: le iniziative italiane

Per amore di cronaca, però, va detto che qualche passo in avanti in tal senso è stato fatto dal nostro governo. Il South Working è ormai un vero e proprio progetto che l’associazione Global Shapers Palermo Hub, della quale la Militello fa parte, sta portando avanti proprio in collaborazione con il comune di Palermo ma si tratta sicuramente di una prima iniziativa che deve ancora essere sviluppata per poter diventare una realtà concreta.

Quello che i membri del gruppo cercano di portare avanti è l’idea, vecchia come la storia industriale ma mai del tutto abbracciata dai capitani d’azienda, che un lavoratore più felice sia anche più produttivo e che riesca a portare maggiore ricchezza e beneficio alla propria impresa. E come fare a rendere il lavoratore davvero felice? Permettendogli di vivere dove vuole, aumentando il suo potere di acquisto ma senza gravare sui costi dell’azienda, consentendogli di bilanciare al meglio la vita professionale con quella lavorativa. Se in parte alcuni di questi obiettivi possono sicuramente essere raggiunti grazie alla Carta dei diritti, alla quale gli studiosi del South Working stanno lavorando e che dovrà essere sottoscritta da tutte quelle aziende che sono interessate ad aderire al progetto, allo stesso tempo c’è bisogno anche di molto altro per riuscire a rendere davvero completo il progetto. Per questo motivo, sempre in collaborazione con il comune di Palermo, si stanno studiando dei piani di urbanistica per riuscire a inserire in ogni quartiere (o in ogni centro abitato per le realtà più piccole) degli spazi di coworking pubblici che consentiranno ai lavoratori aderenti al progetto di poter avere tutto quello di cui hanno bisogno per poter lavorare a distanza, anche banalmente di una stanza per potersi concentrare se a casa non riescono.

Accanto a questi uffici condivisi, poi, nasceranno anche altre infrastrutture molto importanti al fine di conciliare la vita lavorativa e quella professionale, come ad esempio asili nido, centri diurni per i bambini e tutto ciò che serve per agevolare le mamme lavoratrici nel conciliare impegni familiari e quelli lavorativi.

Un progetto sicuramente ambizioso ma che può essere il primo passo verso una reale adozione del South Working come modello di vita e di lavoro, oltre che un’occasione concreta per dare al Sud la possibilità di rivedere le sue politiche economiche e finalmente riuscire a colmare il divario che da troppi anni lo separa dal Nord Italia. In quest’ottica si può anche leggere un’altra iniziativa, questa volta portata avanti in ordine sparso, di alcuni comuni meridionali che, spopolati dopo anni di immigrazione, hanno deciso di vendere le case dei centri storici al prezzo simbolico di 1 solo euro, a patto però che gli acquirenti si occupino della ristrutturazione di questi immobili e trasferiscano la loro residenza in questi centri. Questa iniziativa potrebbe sicuramente essere conciliabile con la politica di South Working, un modo per riuscire a far rivivere in modo duraturo questo patrimonio storico e architettonico abbandonato da troppo tempo ma allo stesso tempo anche consentire a chi decide di intraprendere questa scelta di vita, le condizioni migliori per potersi garantire un’esistenza agiata e senza problematiche economiche.

C’è da vedere se il governo saprà incentivare questi fenomeni e soprattutto saprà sfruttare un’occasione d’oro per il meridione che, se incentivata nel modo migliore, non si tradurrà in un danno per il Nord ma semplicemente in una nuova opportunità di sviluppo per l’intero Paese nella convinzione, così come molti politici stanno professando da anni, che l’economia italiana possa ristabilirsi solo grazie ad uno scatto in avanti del Sud, per troppi anni depresso e a traino delle grandi potenze economiche del nord.

 

Le agevolazioni per chi rientra dall’estero

A dire il vero qualche passo in avanti si sta compiendo, soprattutto se si da uno sguardo all’ultima manovra finanziaria e alle varie leggi che sono state emanate per la ripartenza dell’Italia nel post lockdown. È di qualche anno fa, infatti, l’emanazione del bonus per combattere la fuga dei cervelli che ha previsto incentivi economici molto interessanti per tutti coloro che rientravano in Italia, dopo un periodo di vita e di lavoro all’estero.

Gli incentivi non riguardano solo una fiscalità agevolata per i cittadini che decidono di riprendere la residenza nel nostro Paese ma anche per le aziende che si fanno avanti per offrire opportunità di lavoro e che, per questo motivo, hanno diritto a sgravi per le assunzioni a tempo indeterminato, soprattutto per quanto riguarda la voce contributi. Questa non è, però, l’unica iniziativa che le forze politiche intendono mettere in campo. Se, in effetti, il progetto di riportare i cervelli in fuga in Italia fino ad ora non sta sortendo gli effetti sperati, lo stesso non può dirsi di tutte quelle iniziative che stanno provando a spingere le aziende, sia italiane che straniere, ad investire al Sud. La pandemia di Coronavirus è stata l’occasione giusta per ripensare al divario economico che esiste fra queste due aree del Paese e per porre in essere alcuni correttivi che possono rimettere le cose nel verso giusto. Per questo motivo sono al varo alcune iniziative per creare nel meridione d’Italia una sorta di zona bianca, un luogo in cui i contributi sono agevolati e le tasse, Irpef in testa, pesano meno sulle casse delle aziende, al fine di spingere le imprese a superare quel gap mentale che rappresenta un ostacolo per fare impresa al Sud.

borghi medioevali

Va detto, però, che spesso gli incentivi economici non sono sufficienti in quanto mancano alcuni elementi di fondo che possono rappresentare un traino per l’impresa come una maggiore efficienza amministrativa, il miglioramento e la semplificazione della burocrazia, il miglioramento delle infrastrutture, la possibilità di poter contare su una rete internet veloce anche nelle zone meridionali più remote, sono tanti piccoli passi che potrebbero agevolare la discesa delle grandi imprese del nord al meridione. Un altro progetto in tal senso è il cosiddetto Decreto Crescita che riserva un capitolo a parte per i ricercatori e i docenti universitari. Da molti anni, infatti, si assiste al fenomeno per il quale le grandi menti italiane sono costrette a spostarsi nelle università straniere per poter trovare uno sbocco professionale nel mondo accademico, e riescono in questa impresa raggiungendo incarichi di grande prestigio. Per attirare queste menti il governo ha pensato ad un progetto specifico riservato a loro che prevede la possibilità di collaborare con aziende di settori specifici che sovvenzioneranno, a fronte di agevolazioni economiche, progetti di ricerca e altri studi sperimentali. Infine un altro elemento di attrattiva messo in piedi dal governo, ma in realtà già attivo negli anni passati, è la decontribuzione fiscale della quale possono usufruire le imprese che decidono di assumere con un contratto a tempo indeterminato lavoratori del sud che intendono restare sul proprio territorio.

A tal fine progetti europei come Garanzia Giovani avevano già riguardato i ragazzi con età compresa fra i 18 e i 29 anni ma l’idea è quella di estendere le stesse agevolazioni ad una fascia di disoccupati molto più ampia.

Conclusioni

Il fenomeno del South Working è ormai una realtà con la quale si deve iniziare a fare i conti perché è molto probabile che, anche una volta superata definitivamente l’emergenza Covid, la tendenza allo smart working e al lavoro agile resterà un fenomeno strutturale, apprezzato sia dalle aziende che dai lavoratori. In periodo di crisi, le aziende hanno potuto vedere come, consentendo ai propri dipendenti di lavorare da casa, sia stato possibile non solo mandare avanti la produzione anche in situazioni di estrema difficoltà, rappresentando forse l’unico metodo per poter portare avanti le aziende, ma alla lunga si è trasformato anche in un notevole risparmio economico. I lavoratori, d’altro canto, hanno potuto apprezzare pienamente tutte le possibilità di conciliazione fra vita lavorativa e professionale che questo sistema di lavoro ha loro garantito.

Secondo gli esperti del settore, la tendenza allo smart working diventerà un dato di fatto per circa il 40% delle aziende italiane, cambiando per sempre il panorama del lavoro nostrano. Stiamo in presenza di un fenomeno molto importante che è destinato davvero a segnare un punto di rottura. Secondo The Economist, una importante rivista americana di settore, l’anno del Covid è destinato ad essere l’anno zero, lo spartiacque fra il prima e il dopo Covid ossia fra due modi diversi di intendere il lavoro. Le aziende, d’altra parte, hanno investito molto per rendere possibile lo smart working in periodo di pandemia e ora che l’emergenza è terminata non hanno comunque intenzione di disperdere questo investimento tornando indietro. La tendenza allo smart working si sposa perfettamente con la voglia di tanti lavoratori del nord di tornare a vivere nelle proprie città del sud per riprendere i legami familiari interrotti ma anche per una migliore qualità della vita, per poter usufruire di prezzi più contenuti e per conciliare al meglio vita lavorativa e professionale.

Tutto questo sarà sicuramente possibile, e potrebbe diventare una realtà strutturata, se le aziende e il governo si impegneranno per poter sviluppare questo progetto. Il South Working è ormai un vero e proprio progetto che l’associazione Global Shapers Palermo Hub, della quale la Militello fa parte, sta portando avanti proprio in collaborazione con il comune di Palermo ma si tratta sicuramente di una prima iniziativa che deve ancora essere sviluppata per poter diventare una realtà concreta. Quello che i membri del gruppo cercano di portare avanti è l’idea, vecchia come la storia industriale ma mai del tutto abbracciata dai capitani d’azienda, che un lavoratore più felice sia anche più produttivo e che riesca a portare maggiore ricchezza e beneficio alla propria impresa. E come fare a rendere il lavoratore davvero felice? Permettendogli di vivere dove vuole, aumentando il suo potere di acquisto ma senza gravare sui costi dell’azienda, consentendogli di bilanciare al meglio la vita professionale con quella lavorativa. Se in parte alcuni di questi obiettivi possono sicuramente essere raggiunti grazie alla Carta dei diritti, alla quale gli studiosi del South Working stanno lavorando e che dovrà essere sottoscritta da tutte quelle aziende che sono interessate ad aderire al progetto, allo stesso tempo c’è bisogno anche di molto altro per riuscire a rendere davvero completo il progetto. Per questo motivo, sempre in collaborazione con il comune di Palermo, si stanno studiando dei piani di urbanistica per riuscire a inserire in ogni quartiere (o in ogni centro abitato per le realtà più piccole) degli spazi di coworking pubblici che consentiranno ai lavoratori aderenti al progetto di poter avere tutto quello di cui hanno bisogno per poter lavorare a distanza, anche banalmente di una stanza per potersi concentrare se a casa non riescono.

Investimenti strutturali e una nuova cultura del lavoro, quindi, sono alla base di quello che si preannuncia come un progetto rivoluzionario per il mondo del lavoro.